lunedì 24 dicembre 2018

Esce la seconda edizione del libro sulla Venerabile FLORA MANFRINATI



Con una prefazione del Cardinale Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione Vaticana per l’Educazione Cattolica, esce in questi giorni per i tipi delle edizioni San Paolo, la seconda edizione rivista ed aggiornata del libro di Giovanni Raminelli “Flora Manfrinati, apostola laica. Una vita di carità nella luce della croce”. La prima edizione uscì nel 2003 e contribuì ad una migliore conoscenza della venerabile Manfrinati, che visse anche a Serravalle e nella cui chiesa nel 1912 ricevette il sacramento della Sacra Cresima dalle mani dell’arcivescovo di Ravenna. La vicenda di questa donna, che a Torino ha fondato l’Opera di Nostra Signora Universale, tutt’ora operante nel campo della educazione delle giovani generazioni attraverso l’impegno della Educatrici Apostole, viene narrata nelle 188 pagine del libro, che è reperibile e ordinabile nelle librerie cattoliche San Paolo al prezzo di Euro 10. Giovanni Raminelli ha espressamente rinunciato sia nella prima che nella seconda edizione ai diritti d’autore a scopo benefico e si augura che soprattutto a Serravalle venga conosciuta la venerabile Manfrinati dato che dall’ottobre 2003 la sala della parrocchia è stata dedicata proprio a lei, che nell’infanzia visse con la famiglia alla Crepalda Vecchia, al Dosso Marianti e alla Crepaldina. Attualmente, oltre a Torino, la venerabile è ricordata nel Centro di preghiera a Mottatonda Nuova di Gherardi ove si trova la sua casa natale.


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Giovanni Raminelli

giovedì 8 novembre 2018

Pubblicato il Diario di Anselmo Morelli "La storia della mia vita militare"





Un mio nuovo lavoro viene alla luce in questi giorni con il patrocinio del Comune di Berra e dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara. Si tratta della pubblicazione, con commento e note, del Diario di Anselmo Morelli La storia della mia vita militare. È un agile volumetto di sessanta pagine contenenti i ricordi della partecipazione alla Grande Guerra stesi da Anselmo Morelli nel 1956. Come afferma il Dr. Alberto Astolfi in un suo intervento a nome dell’Amministrazione Comunale di Berra “La pubblicazione del diario di Anselmo Morelli, curata proprio da Raminelli, compone e completa il quadro storico e biografico attorno alla figura di Morelli già avviata con la pubblicazione del 2004 “Anselmo Morelli. Poesie popolari di un ricevitor postale”, ampliandone la figura non solo in chiave letteraria, ma di fatto, con queste sue memorie, in chiave storica in un particolare periodo della storia d’Italia come sono appunto i cent’anni dalla fine del primo conflitto mondiale. Un documento prezioso che ci riporta e ci descrive fedelmente fasi di vita ed eventi che difficilmente oggi si potrebbero comprendere”. E la Dr.ssa Anna Quarzi direttrice dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara scrive: “Il diario del Morelli, nonostante sia un diario postumo, composto decenni dopo attraverso appunti e ricordi, non perde il suo fascino storiografico, ma anzi è testimone di una memoria ormai sedimentata e matura dell’autore. La vicenda esistenziale di Anselmo Morelli meritava una riflessione proprio perché incarna alla perfezione l’uomo che crede fermamente nel potere della scrittura e della cultura per risollevare la propria iniziale condizione di svantaggio economico familiare. Morelli infatti nasce in una povera famiglia che non può permettergli studi adeguati alle sue notevoli capacità. E Giovanni Raminelli, vista la sua lunga esperienza come dirigente scolastico e come storico, non poteva farsi sfuggire l’indagine su di un personaggio tanto interessante quanto emblematico. La penna di Raminelli è inconfondibile nel commento al diario dove, come in tutti i suoi altri lavori, emerge la tempra dello storico attento e scrupoloso che ha saputo negli anni dare nuova linfa alla storia locale”. Le vicende e le memorie di Anselmo Morelli sono trascritte e commentate con notizie, dati e spiegazioni che rendono il lavoro una tessera del mosaico diaristico che a livello nazionale, in questi anni, ha dato luogo, anche in tal modo, alla giusta commemorazione del centenario della Prima Guerra Mondiale. Il libro viene ufficialmente presentato a Berra il 9 novembre, nel teatro comunale, alle ore 9,30 e donato ai ragazzi delle scuole (V^ elementare e III^ media), che sono invitati a leggerlo e a produrre qualche lavoro per una migliore conoscenza della storia nazionale. Come autore, ritengo sia interessante l’aver riportato anche copie di lettere che il Morelli scriveva alla moglie dal fronte, alcune fotografie scattate in quegli anni, nonché una serie di dati che il Morelli annotò mentre prestava servizio nei reparti di sussistenza in relazione alla composizione delle dotazioni alimentari per i militari.

Giovanni Raminelli

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lunedì 9 aprile 2018

...disponibile il sequel del primo romanzo....


Pubblico la recensione realizzata da un caro amico al mio secondo romanzo, le cui vicende completano quelle narrate nel primo, uscito nel 2016. Il libro verrà presentato il sabato 5 maggio 2018, alle ore 16, a pomposa (Ferrara) nell'ambito delle iniziative della "Primavera Pomposiana 2018". Chi fosse interessato potrà acquistarlo a Pomposa, oppure a Serravalle (Ferrara) presso la tabaccheria-cartoleria di Broggio Dario, o ancora alla libreria "Apogeo" di Adria (Rovigo). Chi desiderasse l'invio per posta può scrivere all'indirizzo e-mail: historicus@outlook.it

Giovanni Raminelli

Come aveva promesso, Giovanni Raminelli completa le vicende del suo primo romanzo storico (uscito alla fine del 2016) con il nuovo, intitolato “Trionfo di amore e giustizia a Serravalle terra pontificia nell’anno del Signore 1838”. La storia portata alla ribalta da Raminelli (tutta legata al paese di Serravalle, alla villa del conte Giglioli, alle antiche famiglie, alle tenute e possessioni i cui nomi ancora oggi esistono, ai rapporti con la sponda fluviale austriacante del Lombardo-Veneto) trova ora compimento con lo svelarsi dei protagonisti della congiura che aveva visto nel primo libro la morte del venditore ambulante Giuseppe Barocchi. Galeazzo Giuliani, nell’indirizzo di apertura ai lettori, segnala che Raminelli, “con la magia dello storico, che fa rivivere persone ed epoche, affronta il caso, indaga sul delitto e tenta di far trionfare la giustizia terrena. Per far ciò riapre il sipario su quell’umanità apparentemente insignificante che viveva lungo la sponda destra del Grande Fiume e brulicava con reverenza oggi ignota, attorno alla Villa Giglioli, avamposto di civiltà urbana fiorito a nobilitare una terra, all’epoca, per molti aspetti, selvaggia e inospitale.” Attorno alle indagini per scoprire i colpevoli del delitto, scorre infatti parallela la vita di una comunità segnata da disgrazie come l’incendio delle canne palustri in valle, dalle fatiche del vivere quotidiano di chi si dedica al contrabbando, dalla smodata ricerca del facile benessere attraverso le torbide e meschine azioni di chi vede solo nel denaro la prospettiva di una vita migliore. Anche in questo secondo romanzo, l’Autore nobilita lo scorrere delle vicende con la semplicità e la purezza di cuore di due giovani che, in aggiunta alla coetanea coppia del primo lavoro, potranno come nelle favole, non senza difficoltà, coronare il loro sogno d’amore. I colpevoli del delitto, animati da freddezza d’animo, bramosia di ricchezza e libidinosa passione, subiranno le condanne comminate da un tribunale di prima istanza guidato dal gonfaloniere pontificio, mentre il paese ritornerà alla normale vita d’ogni giorno. Ancora una volta Raminelli, con una prosa accattivante a tratti con effetti teatrali, con dialoghi incalzanti, con descrizioni ambientali segni di una approfondita conoscenza della storia del territorio, con personaggi egregiamente dipinti nelle loro caratteristiche fisiche e psichiche, ci porta in un mondo temporalmente lontano ma ricco di suggestioni. Un libro con una prosa godibile e da promuovere, come il primo romanzo, ma soprattutto un libro per tutti, che dà spazio in poco più di cento pagine, a una serie di immagini e situazioni che consentono di comprendere meglio le radici umane, sociali e storiche di questa zona all’inizio del delta. (Zan.Di Pac.)
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lunedì 26 febbraio 2018

La villa dei Conti Giglioli a Serravalle (Ferrara): un bene da recuperare.

Ho avuto modo di interessarmi alle vicende e alla situazione di Villa Giglioli a Serravalle fin dai primi momenti successivi alla semi-distruzione causata dall’incendio nella notte tra il 31 dicembre 2008 e l’1 gennaio 2009. A distanza di nove anni, concluso l’iter giudiziario penale e civile, occorre ora guardare alla messa in sicurezza di ciò che è rimasto e al recupero e restauro delle parti architettoniche e artistiche ancora presenti. Non traccio qui se non un breve excursus relativo alla storia dei due manufatti storicamente più importanti (La Villa e l’Oratorio), sottolineando la somma necessità di una messa in sicurezza di ciò che resta e di un veloce recupero di quanto si è salvato dalla distruzione. Faccio notare che la proprietà ha sempre messo a disposizione della comunità civile e di quella religiosa spazi e edifici, credendo nel valore educativo e turistico di un luogo tanto ricco di storia. I meriti in campo culturale degli eredi Giglioli sono ben evidenti. Essi, infatti, fin dall’anno 2000-2001 hanno donato l’intero patrimonio archivistico di Casa Giglioli all’Istituto di Studi Rinascimentali: una ricchissima dotazione documentaristica che racconta gran parte della storia della Città e del territorio. La distruzione di buona parte della villa di Serravalle è stata, anche sotto questo punto di vista, uno sfregio alla storia e alla cultura ferraresi. Gli eredi hanno poi collaborato per produrre uno studio progettuale inerente il restauro funzionale della Villa. Nell’anno accademico 2011-12, alla facoltà di architettura dell’università degli studi di Palermo, è stata presentata la tesi redatta da Margherita Martina Emma (Relatori: prof. Ing. C. Cucchiara, Prof.ssa Arch. L. Gargagliano, Prof. Arch. F. Tommaselli, Prof. Arch. G.M. Ventimiglia) avente per titolo: “PROGETTO DI RESTAURO E RIFUNZIONALIZZAZIONE DI PALAZZO GIGLIOLI”. Secondo tale progetto andrebbero tutelati i pochi fabbricati ancora esistenti nell’area, con l’intenzione di un recupero, restauro ed utilizzo, così da renderli accessibili e godibili in ogni parte con l’individuazione di destinazioni d’uso compatibili e aperte a tutti i cittadini, residenti, ospiti, visitatori, scolaresche, anziani, diversamente abili, senza alcuna limitazione: ciò sarebbe un valido impegno per evitare che dall'
abbandono, dal degrado, dal vandalismo e dalla noncuranza derivi la perdita totale dell’unico vero monumento storico del nostro territorio. Il complesso, infatti, costituito dalla Villa settecentesca, dai fabbricati di servizio, dal grande parco, dalla Cappella gentilizia, dovrebbe rientrare a pieno titolo fra le realtà più significative del Basso Ferrarese sia per l’interesse storico che per quello turistico-fluviale (Ciclabile Destra Po - Approdo fluviale di Serravalle – Insediamento La Porta del delta).


 LA VILLA (Storia)

A metà del secolo XV quando Giglioli, e più propriamente Giacomo, vennero investiti del titolo comitale e della contea di Serravalle, costruirono nel luogo ove ancora oggi esiste la villa, una dimora a forma di torre. Attorno al piccolo maniero si formò un piccolo agglomerato di capanne e tuguri, vera e propria oasi in mezzo alle paludi, alimentate dalle continue e disastrose rotte del fiume Po. La famiglia Giglioli – che pure mantenne il palazzo in Ferrara e molte altre proprietà immobiliari e terriere in varie zone del Ferrarese e del Veneto - provvide a costruire nel tempo molti fabbricati rurali e provvide anche al rialzo delle strutture arginali per lungo tratto della sponda serravallese del Po di Goro (anticamente detto “di Ariano”). Dopo il ritiro a Serravalle causato dall’arrivo della dominazione pontificia, nel 1598, a seguito della morte senza prole maschile dell’ultimo duca estense Alfonso II, la costruzione subì varie modifiche.  Ai primi dell’Ottocento la torre venne demolita quasi per intero e ad essa si sostituì sul lato nord la cimasa di chiaro stile neoclassico. Alle finestre ed ai portali di ingresso furono apposti i frontini e aggiunte le scalinate. C’era anche un piccolo colonnato che sorreggeva il balcone a nord ma esso poi scomparve (come risultava da una pittura realizzata al piano nobile da Rosa Giglioli ed ora andata perduta con il recente incendio). Il pittore ferrarese Francesco Migliari decorò nel 1825 molte stanze e soffitti, altre decorazioni furono realizzate dalla già citata Rosa Giglioli. Ultimi grandi lavori e sistemazione di arredo si ebbero durante la vita del conte Arturo (1872-1948).

L’ORATORIO (Storia)

Il fabbricato si erge sul lato nord, con il portale ad ovest, e pare esistesse già alla metà del Settecento. Prova ne sia il fatto che esso compare citato nel libro Adriensium Episcoporum series historico-chronologica monumenis illustrata (Padova, 1788) del Vescovo di Adria Mons. Arnaldo Speroni degli Alvarotti. La più antica pietra tombale posta nel pavimento dell’oratorio risale alla metà del secolo XVIII. Nel 1833 si ebbe un radicale restauro (come ricorda una scritta dipinta sopra la porta d’ingresso). Nell’oratorio riposano i resti mortali di Ermanno Maffei-Giglioli, morto ventenne ed intimo di Lodovico Ticchioni (partigiano, medaglia d’oro della Resistenza). Il conte Arturo, nel 1947, a ricordo del nipote, fece accomodare nell’oratorio una balaustra e un altare cinquecentesco, ottimamente intarsiato di marmi, proveniente da una villa veneta dei Grimaldi del Terraglio. Per quanto riguarda le sepolture vale la pena ricordare che nell’oratorio sono conservati i resti di Luigi Giglioli, figlio del conte Gaetano, morto nel 1861, di anni, 52, graduato dei Bersaglieri del Po. L’11 ottobre 1927 il pittore ferrarese Augusto Pagliarini provvide a realizzare i lavori di restauro decorativo all’interno dell’oratorio. Per la qualità delle decorazioni si dirà che il Prof. Pagliarini era artista di chiara fama avendo lavorato al restauro dei dipinti di Palazzo Bonacossi a Ferrara. Di lui si ricorda anche la decorazione della chiesa arcipretale di San Martino a Conselice (diocesi di Imola). Il 29 ottobre 1932 il conte Arturo concesse che la chiesetta potesse essere officiata tutte le settimane, nella mattinata del sabato, con la santa Messa celebrata dal Parroco-abate di Serravalle o da un suo cappellano

martedì 13 febbraio 2018

Don Giovanni Camarlinghi: un prete per amico.


Mi ero ripromesso di scrivere qualche ulteriore riga al ricordo qui pubblicato con il precedente post n. 74 del 10 dicembre 2017 sulla figura del caro amico don Giovanni Alberto Camarlinghi. Scrivere di lui è, per me, come scrivere di un fratello poiché la sintonia che si creò fra noi due fu dettata non solo dall’essere quasi coetanei ma anche e soprattutto dalla condivisione totale del modo di intendere la vita e l’impegno in una comunità parrocchiale. Giovane fra giovani, don Giovanni alimentò un fervore di iniziative che ebbero il merito di lasciare un segno profondo in una comunità ove, ancora negli anni 70 e 80 del Novecento, era difficoltoso proclamarsi cristiani a causa di una massiccia opera di contrasto verso la Chiesa operata dai partiti della sinistra. Di lui bisogna segnalare: la costante presenza in oratorio, le confessioni, l’assistenza diuturna al gruppo giovanile, le visite frequentissime ai malati, l’impegno per mandare avanti e sostenere alla grande l’educazione dei piccoli nella benemerita scuola materna parrocchiale “Don Pio Minghetti”. Allacciò contatti frequenti ed invitò a numerose celebrazioni i sacerdoti nativi di Serravalle e quanti, ancora viventi, lo avevano precededuto in Parrocchia. Questi sono solo alcuni aspetti della missione sacerdotale espletata da don Camarlinghi che non mancarono di attiragli le simpatie anche degli ambienti politicizzati e più ostili al messaggio evangelico. Col sorriso sulle labbra profondeva con energia l’impegno della sua presenza, giorno e notte, per gli anziani, che visitava frequentissimamente e al cui capezzale portava il conforto dei sacramenti, specialmente quelli della Casa di Riposo, allora condotta da un gruppo di oltre quindici Suore della Sacra Famiglia per cui celebrava quotidianamente la santa Messa mattutina. Diede vita al gruppo del Vangelo, impegnato nello studio della Parola di Dio; ugualmente sostenne e formò un gruppo giovanile, che condusse a riflettere sulle tematiche più importanti attraverso incontri di preghiera e riflessione e nell’impegno mensile della pubblicazione del giornale parrocchiale “Dal Campanile”, uno straordinario strumento di comunicazione e di collegamento. Orbitarono nella redazione e nel confezionamento di quel periodico decine di ragazzi, decine pure impegnati a scrivere, a esporre idee, a proporre iniziative, a riflettere sui temi della presenza cristiana nel mondo, a segnalare l’esigenza di un recupero delle più importanti notizie di storia paesana. Poi la grande avventura della Sagra Paesana vissuta in tutte le sue dimensioni, prima fra tutte quella della preghiera al Patrono San Francesco d’Assisi. Segnalo tuttavia come merito grandissimo di don Giovanni Camarlinghi fu l’aver dato vita al Coro Parrocchiale, o meglio alla Cappella Musicale. Una compagine canora con oltre sessanta elementi, dai bambini alle bambine, dalle giovani alle donne, da alcuni giovanotti a uomini maturi: tutti entusiasti di cantare, di provare, di rendere sempre più decorose le celebrazioni. Dopo il trasferimento di don Giovanni a Ferrara, la corale ha proseguito fra enormi difficoltà ed ora è ridotta a pochi cantori. Va detto, in tutta serenità, che non ha assolutamente giovato all’impegno di servizio liturgico l’aver formato un coro giovani che, in netta contrapposizione alla storica formazione canora, non ha saputo né voluto continuare nelle linee di una eredità di formazione musicale decisamente importante. Poi non è possibile dimenticare il Palio. Gli ultimi quattro anni trascorsi da don Camarlinghi a Serravalle sono stati momenti indimenticabili per la nascita e lo sviluppo di un organismo ancora presente, aggregante persone di diversa condizione sociale, di diversa cultura, di diversa ideologia politica: giovani e adulti protesi a voler animare la comunità in modo sano e divertente, legando le manifestazioni a una parte della storia antica del territorio. Sentiva importante e imprescindibile, il caro don Giovanni, guardare al cuore delle persone, guardare al bene delle anime, coltivando amicizie e pregando tanto, pregando sempre. Anche certi suoi gesti, esemplari per un sacerdote giovane, fanno oggi riflettere. Luigi Accattoli nel suo Blog, che invito a visitare e a leggere, ha parlato di don Giovanni in merito a due avvenimenti: il primo riferito al comunista mangiapreti Tonino Colombani, convertito in punto di morte dall’Ave Maria. L’altro all’ebreo ferrarese ingegner Giorgio Bianchini, convertito al Cristianesimo ma legatissimo alle tradizioni ebraiche, ospite nella Casa di Riposo di Serravalle. Egli raccontava che da giovane, chiamato alle armi nel 1915, era andato dal Rabbino che gli aveva imposto le mani pronunciando la preghiera che nel Benedizionale degli Ebrei il nonno recita in occasione della partenza del nipote. Quando don Camarlinghi nel 1985 fu chiamato a lasciare Serravalle per la Parrocchia dell’Immacolata di Ferrara, si recò dal vecchio amico Bianchini chiedendogli una benedizione. L’ingegnere, commosso e lusingato, mise la kippah, pose le mani sulla testa di don Giovanni recitandogli la benedizione che il rabbino aveva un tempo invocato su di lui: “Angelo di Dio tu condottier del viver mio, guidalo e portalo tu sul sentier della virtù”. Ecco, a distanza di tanti anni, a distanza di alcuni mesi dalla morte di Don Giovanni, possiamo dire che la sua presenza a Serravalle e nella parrocchia dell’Immacolata è stata una vera e propria benedizione del Signore per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averlo incontrato e di averlo avuto come parroco ed amico.

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Giovanni Raminelli